Negli ultimi anni, quantomeno sino alla metà dell’anno 2022 periodo in cui i tassi di interessi dei mutui indicizzati al tasso Euribor sono cresciuti esponenzialmente, le banche nel concedere credito, in particolare nella forma del contratto di mutuo, prevedevano (prevedono) l’individuazione del tasso di interesse con uno spread parametrato all’indice Euribor ma con formule di limitazione del rischio nel caso di un eccessivo ribasso dell’indice stesso.
Detta previsione contrattuale rappresenta la cosiddetta clausola “FLOOR” che opera come protezione della remunerazione bancaria rispetto alle possibili riduzioni troppo marcate dell’indice Euribor, garantendo quindi alla Banca un tasso minimo pari al tasso indicato nella formulazione della clausola.
In alcuni casi, le banche hanno introdotto con tali clausole anche la previsione di specifici tassi fissi minimi che, secondo tali previsioni, trovavano applicazione nel caso in cui il tasso indicizzato scendesse al di sotto ti tale soglia minima. Così facendo, le banche non si limitavano ad inserire una clausola che “sterilizzasse” gli effetti per lei negativi di un tasso variabile in calo (si ricorda che sino alla metà dell’anno 2022 il tasso Euribor era addirittura negativo) ma inseriva una clausola che le garantisse sempre una remunerazione minima comunque superiore allo spread minimo concordato.
Tal tipo di clausola non appare bilanciare i diritti e gli interessi di entrambe le parti del contratto di finanziamento. In tal senso, ad esempio, gli istituti di credito ben potevano prevedere anche una clausola compensativa a favore degli opponenti che limitasse il tasso in caso di aumento; trattassi della cosiddetta clausola “CAP” (si badi che da metà anno 2022 i tassi sono aumentati in modo esponenziale). Pertanto, la clausola in esame (la previsione di un tasso di interesse indicizzato Euribor con un determinato spread e contestuale previsione di tasso floor a favore della Banca) genera un grave squilibrio nel rapporto tra banca e cliente (“CONSUMATORE”) che non è compensato dalla previsione di un tasso cap in favore del mutuatario (non è stato previsto alcun tasso cap).
Il mutuatario/consumatore (in condizione di soggezione rispetto al contraente professionale banca), reso edotto in modo consapevole del predetto meccanismo contrattuale, non avrebbe accettato l’inserimento della clausola floor in esame senza ottenere in cambio un qualche vantaggio corrispettivo come un tetto massimo al tasso applicato (clausola cap) oppure una riduzione (circostanza che dovrebbe essere quantomeno evidenziata in contratto) dello spread applicato.
Per l’effetto, la clausola in esame può considerarsi vessatoria ex art. 33 e ss C.d.C. stante il significativo squilibrio contrattuale tra le parti:
In tal senso, la Corte d’Appello di Milano, con due sentenze recenti (sentenza n. 2836/2022 del 06.09.2022 e sentenza n. 558 del 17/02/2023), afferma che un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto “ricorre nel caso di applicazione della clausola floor (non accompagnata da analogo meccanismo correttivo […]): la considerazione dell’indice Euribor come pari a zero nel caso che assuma valore negativo implica infatti l’obbligo del mutuatario di corrispondere gli interessi ad un tasso comunque pari allo spread pattuito senza poter beneficiare interamente della variazione favorevole dell’indice. Come invece può fare la Banca mutuante, che non è soggetta ad alcuna limitazione nel caso di rialzo dell’indice. Tale situazione di significativo squilibrio […] attiene proprio ai diritti e agli obblighi nascenti dal contratto […]”; la Corte Meneghina conclude (affermandone la vessatorietà) che tale clausola nel caso in esame non avrebbe dovuto essere applicata.